L'ARGONAUTA IN VETRINA
Guillaume Apollinaire
arteideologia raccolta supplementi
nomade n.1 dicembre 2007
LETTI E RILETTI
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_I misteri di Parigi
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LA GUIDA

Erano ben quindici anni che non vedevamo Dormesan, uno dei nostri compagni di collegio.
Sapevamo soltanto che dopo aver messo su una fortuna assai considerevole ed averla dissipata, faceva la guida turistica a Parigi.
Lo incontrammo un giorno davanti ad uno dei più grandi hotel dei boulevards. Aspettava pazientemente i clienti masticando un sigaro.
Fu lui a riconoscerci per primo e ci fermò mentre gli passavamo davanti.
Vedendo che il suo viso non ci richiamava niente, si frugò nelle tasche e quindi ci porse un biglietto da visita che portava scritto: barone Ignace d'Ormesan.
Lo stringemmo tra le braccia e, nient'affatto meravigliati del suo annobilimento senz'altro recente, gli domandammo se gli affari andavano bene, se quest'anno gli stranieri rendevano.
« Mi avete forse preso per una guida, - esclamò indignato - una guida, una semplice guida? »
« Credevo, - balbettammo - m'avevano detto... ».
« Bla bla bla! Quelli che ve lo hanno detto scherzavano. Voi mi date l'impressione di essere uomini che domanderebbero ad un noto pittore se il lavoro d'imbianchino va bene. lo sono un artista, amici cari, e, quel che è più importante, ho inventato io stesso la mia arte e sono il solo ad esercitarla » .
« Una nuova arte? Accidenti! ».
« Non mi prendete in giro, - disse con tono severo - sono molto serio».
Ci  scusammo ed egli riprese con aria modesta:

«Indottrinato in tutte le arti, vi eccello: ma tutte le carriere artistiche sono sature, prive di sbocchi. Disperando di farmi un nome come pittore ho bruciato tutti i miei dipinti. Rinunciando agli allori poetici ho stracciato circa cinquantamila versi. Avendo così instaurato la mia libertà nel campo estetico, ho inventato una nuova arte, fondata sul peripatetismo di Aristotele. Ho chiamato quest’arte “l’anfionia”, in ricordo dello strano potere che aveva Anfione sulle pietre da costruzione e sui diversi materiali di cui sono composte le città. Del resto, quelli che praticheranno l'anfionia saranno chiamati anfioni. Siccome ad una nuova arte abbisognava una nuova Musa e d'altra parte ero io stesso il creatore di quest'arte, e quindi la sua musa, non feci altro che aggiungere alla schiera delle Nove Sorelle la mia personificazione femminile col nome di baronessa d'Ormesan. Debbo inoltre dire che sono celibe e che ho avuto tanto meno scrupoli a portare a dieci il numero delle Muse in quanto ero in ciò in accordo con le leggi del mio paese relative al sistema decimale.
Ed ora che ho chiaramente esposto, credo, le origini storiche ed i dati mitologici dell'anfionia, voglio spiegarle cos'è.
Lo strumento di quest'arte e la sua materia consistono in una città di cui si tratta di percorrere una parte in modo da suscitare nell'anima dell'anfione o del dilettante dei sentimenti belli e sublimi, come fanno la musica, la poesia ecc...
Per conservare i brani composti dall'anfione, e per poterli eseguire di nuovo, si segnano su una pianta della città con una linea che indica esattamente il cammino da seguire. Questi brani, questi poemi, queste sinfonie anfioniche si chiamano "antiopee", da Antiope, madre di Anfione.
Per quel che mi riguarda è a Parigi che pratico l'anfionia.
Ecco un'antiopea che ho composto proprio questa mattina.
L'ho intitolata "Pro Patria". È destinata, come indica il titolo, ad infondere l'entusiasmo, i sentimenti patriottici.
Si parte da place Saint-Augustin dove si trovano una caserma e la statua di Giovanna  d'Arco. Si seguono poi rue de la Pépinière, rue Saint-Lazare, rue de Châteaudun fino a rue Laffitte, dove si saluta la maison Rothschild. Si ritorna indietro per i grands boulevards fino alla Madeleine. I grandi sentimenti si esaltano alla vista della Camera dei deputati. Il ministero della Marina, davanti a cui si passa, offre un'alta idea della difesa nazionale, e si sale per avenue des Champs-Elysees. L'emozione è al culmine quando si vede ergersi la mole dell'Arco di Trionfo. Alla vista del duomo des Invalides gli occhi si bagnano di lacrime. Si gira subito per avenue Marigny per conservare quest'entusiasmo, che arriva al culmine davanti all'Elysée.
Non vi nascondo che questa antiopea sarebbe più lirica, avrebbe più grandezza se si potesse concluderla davanti al palazzo d'un re. Ma cosa volete? Bisogna prendere le cose e le città come sono ».

« Ma, - dicemmo ridendo – ognuno di noi fa dell'anfionia ogni giorno. Non si tratta che di passeggiate... »
« Monsieurs  - esclamò il barone - voi dite il vero: fate dell'anfionia senza saperlo ».
Fresnes, Paris (France), 1910
In quel momento uscì dall'hotel una brigata di stranieri : il barone gli corse incontro parlando nella loro lingua.
Poi mi chiamò:
« Lo vedete, sono poliglotta. Ma venite con noi. Eseguirò per questi turisti un'antiopea ridotta, qualcosa come un sonetto anfionico. È uno dei brani che più mi fruttano. È intitolato Lutèce, l’antico nome di Parigi. Grazie a certe licenze non poetiche ma anfioniche mi permette di mostrare tutta Parigi in una mezzora ».
Salimmo, i turisti, il barone e noi due, sull'imperiale dell'omnibus.
Il barone d'Ormesan l’annunciò ad alta voce: «Lutèce! ».
Ed aggiunse, indicando la succursale bancaria del Comptoir d'Escompte: «Palais du Luxembourg: il Senato ».
Davanti al cafè Napolitain disse enfaticamente: «L'Academie francaise».
Davanti alla cassa del Credit Lyonnais annunciò: «L'Elysee: residenza del Presidente della Repubblica ».
E così continuando aveva mostrato, quando arrivammo alla Bastille, i nostri principali monumenti: Notre-Dame, il Panthéon, la Madeleine, i grandi magazzini, i ministeri e le abitazioni dei nostri uomini illustri morti e viventi; infine, tutto quello che uno straniero deve vedere a Parigi.
Scendemmo dall'omnibus.
I turisti pagarono lautamente il barone d'Ormesan.
Eravamo meravigliati e glielo dicemmo.
Ci ringraziò modestamente e ci lasciammo.

Qualche tempo dopo ricevemmo una lettera dalla prigione di Fresnes. Era firmata dal barone d’Ormesan:
Cari amici,
avevo composto una antiopea intitolata Il Vello d'oro. La eseguii un mercoledì sera. Partii da Grenelle, dove abito, su un vaporetto. Era, come può vedere, una dotta evocazione della favola argonautica. Verso mezzanotte, a rue de la Paix, ruppi qualche vetrina di gioielleria. Mi arrestarono con alquanta brutalità e mi misero in prigione col pretesto che m'ero impadronito di diversi oggetti d'oro che costituivano il Vello, meta della mia antiopea. Il giudice istruttore non capisce niente dell'anfionia, e sarò condannato se voi non interverrete. Sapete che sono un grande artista. Proclamatelo e liberatemi.

Siccome non potevamo far nulla per il barone d’Ormesan, e non ci piace aver a che fare con la Giustizia, non gli rispondemmo neppure.


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NdR. Costretti a varcare il “cerchio allucinato dell'immaginazione" certamente la realtà non potrà perdonare a chi non comprende che in tal modo si trapassa dalla storia della metafora nella storia delle società; e in quest'ultima il soggettivismo può salvarsi "dall'intolleranza poliziesca” a condizione di essere in scala con le vicende stesse della storia, vale a dire nel "cerchio allucinato" della necessità storica che intreccia i destini dei singoli per il protagonista sociale collettivo